anoressia

L’anoressia è una patologia davvero molto pericolosa per l’individuo che ne soffre. Si tratta di una progressiva perdita o riduzione dell’appetito, che può indurre il paziente a non ingerire nessun tipo di cibo anche per diversi giorni. In realtà l’anoressia è un sintomo di numerose malattie diverse tra di loro. Viene intesa come vera e propria malattia solo quando risulta essere legata ad un disturbo psichico, prendendo il nome di anoressia nervosa. Solitamente l’esordio dei disturbi di anoressia si manifesta intorno ai 10 - 13 anni di età, ed ha un’incidenza maggiore nel sesso femminile. Forse questa incidenza è dovuta ai meccanismi della moderna società dei consumi, che propone modelli di linea spesso difficili da raggiungere per alcune ragazze, le quali iniziano a credere che mediante diete drastiche e limitazioni di cibo, possono forse avere delle chance per il raggiungimento del peso indicato e proposto da questi modelli. Non è improbabile pensare che queste diete possano a mano a mano contribuire con la perdita dell’appetito propria dell’anoressia. Alcune ricerche sul campo stimano che la malattia abbia un’incidenza pari ad 8 casi su 100.000 ogni anno. Per parlare di vera e propria patologia, i medici hanno individuato alcuni criteri imprescindibili nei casi clinici riscontrati: la progressiva perdita di peso, che non deve mai scendere sotto l’85% del peso forma in rapporto all’altezza e all’età; la paura di ingrassare, intesa come il pensiero terrificante e paralizzante di aumentare di peso; l’amenorrea, ovvero l’assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi e dismorfismo corporeo, che si manifesta con lo sviluppo di una enorme influenza del peso corporeo sull’autostima del paziente, che non riesce più ad allarmarsi di fronte la sua immagine denutrita per via di una nociva alterazione dell’immagine di se. Molte sono le malattie indicate dai medici come possibili portatrici di sintomi legati alla perdita di appetito e alla conseguente perdita di peso. Il cancro, la depressione, la colite ulcerosa, l’insufficienza renale cronica, le malattie infettive febbrose. Alcuni farmaci possono aumentare il rischio di sviluppare la malattia nella sua forma nervosa, come per esempio le anfetamine, gli stimolanti, gli antidepressivi o l’interruzione di farmaci tesi all’aumento dell’appetito. Esiste inoltre un altro tipo di anoressia, legata a strani meccanismi psicologici: si tratta della pseudo anoressia, che si manifesta quando un paziente asserisce di non ingerire cibo, svolgendo in realtà di nascosto questa pratica. Recenti studi hanno dato il via alla sperimentazione, tutt’ora in corso, di metodologie curative che utilizzano droghe leggere quali hashish e marijuana. Il senso di fame portato dall’assunzione di queste due sostanze, può infatti contrastare la sensazione di inappetenza propria della malattia nella sua forma nervosa, inducendo così il paziente ad assumere il cibo. Una metodologia che naturalmente fa discutere, ma che se verificata potrebbe portare allo sviluppo di cure efficaci. Il senso di inadeguatezza portato dalla patologia, risulta davvero schiacciante per il povero paziente. Questi infatti non percepisce assolutamente il pericolo per la salute, proprio a causa della distorsione dell’immagine di se, che anche se sotto peso e in condizioni precarie, viene vista allo specchio come sana, normale. Il rifiuto del cibo è un fenomeno di una pericolosità unica: la pratica di ignorare i segnali che il nostro organismo ci invia, segnali necessari alla nostra sopravvivenza, proprio come, per esempio, il senso di fame, può portare facilmente alla morte il paziente.

Attacchi di Panico

attacchi di panico

Cosa sono gli attacchi di panico? Lo sapranno bene di certo le persone che ne soffrono e che non deridono certo un’improvvisa crisi che porta sensazioni di terrore e paura ingiustificata. Quando parliamo di attacchi di panico e dei loro sintomi disastrosi, di certo non ci riferiamo a fisime di qualche persona troppo sensibile per accettare una delusione, o una sconfitta. Nossignore, quando si parla di veri attacchi di panico, si sta parlando di una patologia seria, in grado di scaraventare il povero malcapitato di turno in un “inferno” di dolore e, ahi noi, solitudine. Certo, perché per riuscire a stare accanto ad una persona sofferente di attacchi di panico, serve un grande sforzo di pazienza ed amore. Certo, dirà qualcuno, come per ogni malattia. Siamo d’accordo, niente da dire. Ma questo tipo di malattia, spesso legata più ad una sfera psicologica che organica (almeno nella manifestazione dei sintomi), che potrebbe far nascere il dubbio di trovarsi di fronte qualcuno che ha solo bisogno di attenzione, bisogno che si manifesta con sintomi legati ad insicurezza, insoddisfazione ed inadeguatezza davanti alla realtà dell’esistenza. I sintomi che accompagnano gli attacchi sono di tipo cognitivo e somatico. A livello fisico il dolore è reale e tangibile, e si manifesta con l’accelerazione del battito cardiaco, l’eccessiva sudorazione, tremore diffuso, senso di soffocamento e fiato corto, nausea, brividi o vampate, senso di morte. Già, la Morte, l’ultima preoccupazione dell’uomo, che tuttavia sottende tutte le altre preoccupazioni. Un’improvvisa sensazione di pericolo, tangibile per la mente del malato, tanto da far scattare a livello organico le varie modalità di autodifesa del corpo. E’ proprio questo infatti quello che succede durante un attacco: il nostro corpo, soggiogato dalla mente, crede di trovarsi in un pericolo imminente, e dunque reagisce di conseguenza. Da lì, scatta nel paziente la paura di un nuovo attacco, e il tutto diventa come il cane che si morde la coda: un circolo vizioso di rara pericolosità. Inoltre la paura dell’avvento improvviso di un nuovo attacco, costringe il malato ad una vita di segregazione, tanta è la pura di subire una crisi in presenza di altre persone. La solitudine, altro grande male dell’uomo. Come dire “una cosa tira l’altra” o “non c’è mai fine al peggio“. L’inadeguatezza e il senso di sconforto che lasciano gli attacchi di panico nella testa del paziente, rischiano di diventare col tempo troppo reali per poter essere superate. La voragine in cui il malato rischia di cadere potrebbe risultare troppo profonda da curare, anche con l’aiuto di un bravo psicoanalista. A livello medico si parla di crisi di panico quando queste crisi hanno una certa continuità che, naturalmente, non deve essere giornaliera per dover gridare l’allarme. Crisi però settimanali o quindicinali, sono altrettanto pericolose, poiché potrebbero sfociare in una degenerazione della malattia. Importante soprattutto è l’influenza che la malattia ha nella vita del malato. Se quest’ultimo effettivamente si pone in una situazione di attesa rispetto all’attacco allora la malattia avrà gioco facile, e saranno molte le probabilità di incappare nelle degenerazioni. Gli attacchi sono più frequenti nei momenti di stress, quando le preoccupazioni del vivere giornaliero possono effettivamente prendere il sopravvento sulla tranquillità necessaria al vivere. Naturalmente il mantenere la calma non è un consiglio sbagliato, ma neanche così utile come si crede: solo chi ha provato l’attacco infatti conosce la potenza devastatrice che a volte solo lo sconforto assoluto riesce a sfogare, così, all’improvviso, senza il bisogno di qualche motivazione reale.